Author: Marta Ramat
Committee: Academic Committee
Date: 26/04/2025

Introduzione

Martedì 8 aprile 2025, la Corte di giustizia dell’Unione europea (‘CGUE’ o ‘Corte’) è tornata a pronunciarsi sull’interpretazione del Regolamento (UE) 2017/1939 (‘Regolamento EPPO’). La sentenza, resa circa sei mesi dopo le Conclusioni dell’Avvocato Generale Collins (commentate da Hernandez Lopez su questo blog), si concentra in particolare sull’articolo 42, paragrafo 1, del Regolamento, nonché sui princìpi di tutela giurisdizionale effettiva, autonomia procedurale, equivalenza ed effettività.

Com’è noto, l’articolo 42 è la disposizione del Regolamento EPPO dedicata al controllo giurisdizionale sulla Procura europea e sui relativi atti. Tale norma delinea un sistema complesso, volto a tenere conto della specificità dell’EPPO (considerando 86 del Regolamento EPPO). In tale contesto, la giurisdizione è affidata alla CGUE o alle corti nazionali, a seconda del tipo di atto o comportamento contestato e del rimedio giurisdizionale azionato.

In particolare, ai sensi dell’articolo 42, paragrafo 1, “gli atti procedurali dell’EPPO destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi sono soggetti al controllo degli organi giurisdizionali nazionali competenti conformemente alle procedure e ai requisiti stabiliti dal diritto nazionale. Lo stesso vale per la mancata adozione da parte dell’EPPO di atti procedurali destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi la cui adozione era obbligatoria ai sensi del presente regolamento”.

A tal riguardo, come precisato nel considerando 88 del Regolamento, gli Stati membri sono tenuti a garantire che i rimedi giurisdizionali esperibili secondo la loro legislazione nazionale siano conformi al principio di tutela giurisdizionale effettiva, quale garantito dall’articolo 19, paragrafo 1, TUE. Allo stesso modo, essi devono rispettare i princìpi di equivalenza e di effettività, secondo cui “le modalità procedurali nazionali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione non devono essere meno favorevoli di quelle previste per ricorsi analoghi di natura interna” e “[non] devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione”.

Con la sentenza pronunciata nella causa C-292/23, EPPO (Contrôle juridictionnel des actes de procedure), la Corte ha fornito alcuni chiarimenti su taluni aspetti chiave del quadro giuridico sopra delineato.

La sentenza della Corte

La sentenza della Corte trae origine da un’indagine condotta dall’EPPO – segnatamente, da uno dei procuratori europei delegati (PED) – in Spagna, contro i dirigenti di una fondazione. In tale ambito, le persone indagate hanno impugnato la decisione del PED di convocare un testimone, sollevando varie contestazioni dinanzi al giudice nazionale competente. Tuttavia, tale giudice – il giudice del rinvio – ha ravvisato un potenziale contrasto tra il Regolamento EPPO e la Ley Organica che ha ‘reso operativo’ tale Regolamento nell’ordinamento spagnolo. Infatti, da un lato, l’articolo 42, paragrafo 1, del Regolamento dispone che “gli atti procedurali dell’EPPO destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi sono soggetti al controllo degli organi giurisdizionali nazionali” (corsivo aggiunto). D’altro canto, però, la Ley Organica in questione prevede un elenco esaustivo delle decisioni dell’EPPO che possono essere impugnate, elenco in cui le convocazioni dei testimoni non rientrano. Peraltro, nelle indagini puramente nazionali, non condotte dall’EPPO, sarebbe invece previsto uno specifico mezzo d’impugnazione avverso il medesimo tipo di atto investigativo.

È per questi motivi che il giudice del rinvio ha sollevato quattro questioni preliminari riguardanti, essenzialmente, la compatibilità della disposizione nazionale in questione con il diritto dell’Unione.

Seguendo le Conclusioni dell’AG, la Corte ha ritenuto irricevibile la seconda questione pregiudiziale, mentre ha riformulato le tre rimanenti per esaminarle congiuntamente. In particolare, si è ritenuto che tali questioni mirassero in sostanza ad accertare “se l’articolo [42, paragrafo 1, del Regolamento EPPO], letto alla luce dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, degli articoli 47 e 48 della Carta nonché dei principi di equivalenza e di effettività, debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che non consente alle persone che sono oggetto di un’indagine condotta dalla Procura europea di impugnare direttamente dinanzi all’organo giurisdizionale nazionale competente una decisione con la quale, nell’ambito di tale indagine, il procuratore europeo delegato incaricato del caso in discussione cita a comparire testimoni” (par. 43 della sentenza).

Nel pronunciarsi su tale ‘macro-questione’, la Corte ha seguito quattro passaggi argomentativi consequenziali, sostanzialmente in linea con le Conclusioni dell’AG.

In primo luogo, la Corte ha chiarito che l’espressione “atti procedurali […] destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi” costituisce una nozione autonoma del diritto dell’Unione, la cui interpretazione non deve dipendere dal diritto nazionale applicabile. Infatti, la Corte ha sottolineato che solo un’interpretazione uniforme di tale concetto consente di garantire una “divisione coerente delle competenze” tra gli organi giurisdizionali nazionali e la CGUE (dinanzi alla quale dovranno essere contestati gli atti non procedurali, ai sensi dell’articolo 42, paragrafo 8, del Regolamento EPPO) (punti 50-58 della sentenza). La Corte ha poi proceduto alla definizione del significato sostanziale di tale concetto. Per quanto riguarda la natura “procedurale” dell’atto, la CGUE ha brevemente evidenziato che il Regolamento ne consente un’interpretazione ampia, comprensiva degli atti e dei provvedimenti adottati nel corso dell’indagine. Quanto al concetto di “destinato a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi”, questo è stato, a sua volta, definito ribadendo la consolidata giurisprudenza in materia di atti impugnabili con un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE. La Corte ha dunque chiarito che i singoli possono impugnare atti procedurali dell’EPPO i cui effetti siano per essi vincolanti, nel senso che incidono sui loro interessi “modificando in misura rilevante la loro situazione giuridica” (punti 59-62 della sentenza).

Una volta chiarito il significato di tale nozione autonoma, la sentenza si è poi soffermata sulla portata precettiva dell’articolo 42, paragrafo 1. La Corte ha in particolare chiarito che tale disposizione obbliga gli Stati membri a prevedere un controllo giurisdizionale di tutti gli atti dell’EPPO che rientrano nella suddetta nozione autonoma. In particolare, la Corte ha sottolineato il rapporto tra tale interpretazione e il valore dello Stato di diritto, che impone la disponibilità di rimedi giuridici che consentano un esame della compatibilità di qualsiasi atto vincolante dell’UE con il diritto primario, in primis coi diritti fondamentali. In tal modo, la Corte ha chiarito che la scelta di stabilire un elenco esaustivo di atti dell’EPPO che possono essere impugnati costituisce una violazione di uno dei valori fondanti dell’UE, sancito dall’articolo 2 TUE (paragrafi 63-66 della sentenza).

Poste tali premesse, il terzo e il quarto step della motivazione mostrano invece come i (frequenti) riferimenti al diritto nazionale nel regolamento EPPO possano influire sull’uniformità della tutela giurisdizionale avverso i suoi atti.

Il terzo passaggio riguardava infatti la possibilità di qualificare la decisione del PED di convocare un testimone quale “atto procedurale destinato a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi”. A questo proposito, la Corte ha osservato che la funzione del controllo giurisdizionale è garantire il rispetto dei diritti fondamentali e delle garanzie procedurali. Tuttavia, questi non sono soggetti a una piena armonizzazione nel diritto UE; al contrario, ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 3, del Regolamento EPPO, essi sono in gran parte lasciati al diritto nazionale applicabile. Di conseguenza, la Corte ha ritenuto inopportuno stabilire, in abstracto e a livello UE, se una determinata tipologia di atto EPPO sia “destinata a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi”. È stato quindi lasciato al giudice del rinvio il compito di stabilire se la decisione del PED di convocare un testimone sia in grado di produrre effetti vincolanti nei confronti delle persone indagate (punti 67-75 della sentenza).

Infine, il quarto passaggio del ragionamento della Corte era incentrato sul tipo di rimedio giurisdizionale che dev’essere esperibile per contestare la legittimità degli atti procedurali vincolanti dell’EPPO, ai sensi dell’articolo 42, paragrafo 1. Il riferimento, in tale disposizione, ai requisiti e alle procedure stabiliti dal diritto nazionale ha portato la Corte a stabilire che il regolamento EPPO opera soltanto un’armonizzazione minima dei mezzi di ricorso, che deve essere letta alla luce del principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri. Pertanto, mentre i rimedi disponibili devono assicurare un livello di tutela conforme agli articoli 19 TUE e 47-48 della Carta, né tali norme di diritto primario né l’articolo 42, paragrafo 1, del Regolamento EPPO impongono la previsione di un ricorso diretto. Ne consegue che, in linea di principio, sarebbe sufficiente garantire la possibilità di contestare la legittimità dell’atto in questione in via incidentale, durante il processo penale sul merito (paragrafi 76-81 e 90 della sentenza). Un’eccezione a tale regola può, tuttavia, derivare dal principio di equivalenza: se – come parrebbe nell’ordinamento spagnolo – un atto procedurale adottato in un caso puramente nazionale può essere impugnato tramite un ricorso diretto, il medesimo ricorso dovrà essere esperibile contro un equivalente atto dell’EPPO (paragrafi 84-89 della sentenza).

Alcune osservazioni preliminari

Sebbene la sentenza sia ancora piuttosto recente, è possibile avanzare alcune brevi osservazioni preliminari, in particolare alla luce del raffronto tra la pronuncia in commento e la precedente G.K. e altri, del dicembre 2023.

In particolare, due passaggi della sentenza in commento paiono degni di nota. In primo luogo, la scelta della Corte di non risolvere in astratto, a livello UE, la questione se una certa tipologia di atto EPPO – la convocazione di un testimone – abbia effetti vincolanti per la persona indagata. In secondo luogo, l’affermazione secondo cui il diritto UE non impone un tipo specifico di rimedio giurisdizionale, ma richiede soltanto un controllo effettivo ai sensi dell’articolo 19 TUE.

Pronunciandosi sul controllo giurisdizionale delle misure investigative in casi transfrontalieri, nella causa G.K. e altri, la Corte pareva aver assunto una posizione molto più netta ed incline ad una maggiore armonizzazione. In primo luogo, per quanto riguarda gli effetti degli atti dell’EPPO, la Corte aveva chiaramente affermato che alcune misure interferiscono gravemente con i diritti fondamentali, e aveva puntualizzato che tale era il caso delle perquisizioni domiciliari e delle misure conservative – ovvero le misure rilevanti in quel procedimento principale (G.K. e altri, punti 74-75). In secondo luogo, di conseguenza, essa aveva affermato che l’adozione di tali misure deve essere sempre soggetta ad un controllo giurisdizionale preventivo (G.K. e altri, dispositivo). Da ciò si sarebbe potuto immaginare che la Corte fosse intenzionata a fornire una lettura uniforme a livello UE degli effetti di specifiche categorie di atti, al fine di assicurare la relativa impugnabilità in tutti gli Stati membri. Del pari, la Corte sembrava affermare che, quando le misure investigative impattino sui diritti fondamentali, il diritto UE impone un tipo specifico di rimedio, ossia un controllo giurisdizionale ex ante.

Certamente, l’approccio proattivo e ‘armonizzatore’ della Corte in G.K. e altri aveva sollevato una serie di dubbi e rilievi. In primo luogo, non risultava chiaro quali altre misure – oltre a quelle oggetto del caso – dovessero essere considerate come una grave ingerenza nei diritti fondamentali tale da richiedere un controllo giurisdizionale (Herrnfeld, Eucrim 2024). Inoltre, per quanto riguarda la natura di tale controllo, era stato osservato che l’imposizione di un’autorizzazione giudiziaria preventiva sarebbe potuta risultare incompatibile con l’autonomia procedurale degli Stati membri, ampiamente garantita dal Regolamento EPPO (Mosna, CMLR 2024). A quest’ultimo proposito, ci si era dunque chiesti se una ratifica ex post da parte di un giudice potesse, almeno in situazioni di urgenza, essere comunque conforme ai dettami del diritto UE (Herrnfeld, Eucrim 2024)

A meno di non voler considerare la pronuncia in Contrôle juridictionnel des actes de procedure come un ‘semplice’ revirement della precedente G.K. e altri, una lettura combinata delle due sentenze può invece contribuire ad una migliore definizione del quadro normativo che disciplina il controllo giurisdizionale nei confronti dell’EPPO. Per quanto riguarda, innanzitutto, gli effetti delle misure investigative nella sfera giuridica dell’indagato, la Corte sembra delineare due diverse categorie di atti: da un lato, quelli che costituiscono, per loro stessa natura, una seria ingerenza nei diritti fondamentali tutelati dalla Carta e che, pertanto, sono sempre “destinati a produrre effetti giuridici” ai sensi del diritto UE; dall’altro, quelli che possono produrre tali effetti solo in talune circostanze, a seconda del loro contesto e del loro scopo specifico, nonché delle garanzie procedurali disponibili ai sensi del diritto nazionale applicabile. A sua volta, il grado di armonizzazione dei rimedi esperibili contro ciascuna misura deriverebbe da tale distinzione: la Corte sembrerebbe, infatti, imporre un controllo ex ante solo per gli atti più invasivi, mentre per le altre misure gli Stati membri godrebbero di un margine di manovra più ampio e la loro autonomia procedurale sarebbe preservata in misura maggiore.

Peraltro, nonostante l’approccio incline a preservare il margine di discrezionalità degli Stati membri, anche la sentenza Contrôle juridictionnel des actes de procedure presenta una certa portata ‘armonizzatrice’ che non deve essere sottovalutata. Infatti, in primo luogo, la Corte ha chiarito che gli Stati membri non possono stabilire, per legge e a priori, una lista chiusa di atti procedurali che possono essere impugnati. Inoltre, interpretando l’articolo 42, paragrafo 1, del Regolamento EPPO alla luce dei Trattati, della Carta e del principio di equivalenza, la CGUE ha in ultima istanza imposto la previsione di un rimedio giurisdizionale che l’ordinamento spagnolo avrebbe escluso nei casi EPPO. Così facendo, la pronuncia ha garantito che l’autonomia procedurale non operi a detrimento dell’accountability dell’EPPO e della tutela giurisdizionale effettiva garantita agli individui (Öberg, Eu Law Live 2025).

In conclusione, le prime due sentenze della Corte in materia di tutela giurisdizionale nei confronti dell’EPPO lasciano ancora molte questioni aperte, e presentano innegabili differenze di approccio; tuttavia, tali pronunce hanno soprattutto dimostrato quanto il rinvio pregiudiziale sia uno strumento di vitale importanza, in un contesto in cui il controllo giurisdizionale sugli atti di un organo dell’UE è lasciato, in prima battuta, ai giudici nazionali. Pertanto, solo tramite ulteriori rinvii pregiudiziali la Corte potrà fornire maggiori chiarimenti, procedendo nella costruzione di un sistema di rimedi coerente e in linea con il diritto primario.


Introduction

On Tuesday 8 April 2025, the European Court of Justice (‘ECJ’ or ‘Court’) rendered its second preliminary ruling dealing with the interpretation of Regulation (EU) 2017/1939 (‘EPPO Regulation’). The judgment, issued around six months after AG Collins’s Opinion (‘Opinion’, commented by Hernandez Lopez on this Blog), focusses in particular on Article 42(1) of the Regulation, as well as the principles of effective judicial protection, procedural autonomy, equivalence and effectiveness.

As is well-known, Article 42 is the provision of the EPPO Regulation devoted to judicial scrutiny over the EPPO and its acts. It establishes a complex system, aiming to take account of EPPO’s specificity (Recital 86 of the EPPO Regulation). In that context, jurisdiction is entrusted to either the ECJ or national courts, depending in essence on the type of contested act or conduct, as well as the legal remedy at stake.

In particular, under Article 42(1), “procedural acts of the EPPO that are intended to produce legal effects vis-à-vis third parties shall be subject to review by the competent national courts in accordance with the requirements and procedures laid down by national law. The same applies to failures of the EPPO to adopt procedural acts which are intended to produce legal effects vis-à-vis third parties and which it was legally required to adopt under this Regulation”.

As specified in Recital 88 of the Regulation, Member States are therefore obliged to ensure that the legal remedies available in their domestic legislation comply with the principle of effective judicial protection under Article 19(1) TEU. Similarly, they shall respect the principles of equivalence and effectiveness, according to which “national procedural rules governing actions for the protection of individual rights granted by Union law must be no less favourable than those governing similar domestic actions” and “must not render practically impossible or excessively difficult the exercise of rights conferred by Union law”.

By its judgment in Case C-292/23, EPPO (Contrôle juridictionnel des actes de procedure), the ECJ provided some clarification on key aspects of that legal framework.

The Court’s judgment

The Court’s ruling stems from an EPPO investigation carried out by one of the Spanish European Delegated Prosecutors (EDPs) against the managers of a foundation. Those investigated persons challenged the EDP’s decision to summon a witness, by raising various arguments before the competent national (Spanish) court. Nonetheless, that judge – the referring court – noticed a potential inconsistency between the EPPO Regulation and the Ley Organica ‘implementing’ it in the Spanish legal order. Indeed, on the one hand, Article 42(1) of the Regulation prescribes that “procedural acts of the EPPO that are intended to produce legal effects vis-à-vis third parties shall be subject to review by the competent national courts in accordance with the requirements and procedures laid down by national law” (emphasis added). On the other hand, though, the national law in question only lays down an exhaustive list of EDP’s decisions that may be impugned, and witness summonses are not included therein. As a complementary point, the same type of decision would have been subject to direct appeal according to Spanish criminal procedural law if it had been issued in a purely national investigation, falling outside the EPPO’s competences.

It is on these grounds that the referring court raised four preliminary questions concerning, in essence, whether EU law should be interpreted as precluding the national provision in question.

Following the AG’s Opinion, the Court deemed the second preliminary question inadmissible and reformulated the three remaining ones to examine them together. In particular, those questions were deemed to query “whether Article 42(1) of Regulation 2017/1939, read in the light of the second subparagraph of Article 19(1) TEU, Articles 47 and 48 of the Charter and the principles of equivalence and effectiveness, must be interpreted as precluding national legislation pursuant to which persons who are the subject of an EPPO investigation may not directly challenge before the competent national court a decision by which, in the context of that investigation, the European Delegated Prosecutor handling the case concerned summons witnesses to appear” (para. 43 of the judgment).

In answering that ‘macro-question’, the Court followed four consequential steps, essentially espousing the AG’s Opinion.

First and foremost, the Court clarified that “procedural acts […] intended to produce legal effects vis-à-vis third parties” is an autonomous concept of EU law, whose interpretation shall not depend on the applicable national law. Indeed, the Court stressed that only a uniform understanding of that notion ensures an equally “coherent division of competences” between national courts and the ECJ itself (before which non-procedural acts shall be contested directly, under Article 42(8)) (paras 50-58 of the judgment). The Court went on to define the actual meaning of that concept. As regards the “procedural” nature of the act, it briefly highlighted that the Regulation allows for a broad interpretation thereof, including acts and measures adopted during the investigation. The concept of “intended to produce legal effects vis-à-vis third parties” was, in turn, defined by reiterating the well-established case-law concerning acts that can be contested by an action for annulment as per Article 263 TFEU. Hence, the Court clarified that individuals can challenge procedural acts whose effects are binding on them, in the sense that they affect their interests by “bringing about a distinct change in their legal position” (paras 59-62 of the judgment).

After defining that autonomous notion, the ECJ stated that Article 42(1) obliges Member States to provide for judicial review of all EPPO’s acts falling within that concept. The Court highlighted the relationship between such an interpretation and the value of the rule of law, which mandates the availability of legal remedies ensuring the compatibility of any EU binding act with primary law, in primis fundamental rights. In so doing, the Court clarified that laying down an exhaustive list of EPPO acts that can be impugned is not in line with one of the key values of the EU, enshrined in Article 2 TEU (paras 63-66 of the judgment).

It is mostly the third and fourth steps of the ECJ’s reasoning that unveil how the references to national law in the EPPO Regulation may affect the uniformity of judicial protection against its acts.

The former focussed on whether the EDP’s decision to summon a witness falls within the definition of a “procedural act intended to produce legal effects vis-à-vis third parties”. In that regard, the Court noted that judicial review aims to ensure respect for fundamental rights and procedural guarantees, but these are not subject to full harmonisation in EU law; on the contrary, under Article 41(3) of the EPPO Regulation, they are largely left to the applicable national law. As a consequence, the Court deemed it impossible and inappropriate to establish, in abstracto at EU level, whether a certain EPPO act is “intended to produce legal effects vis-à-vis third parties”. It was therefore left to the referring court to establish whether an EDP’s decision to summon a witness is capable of producing binding effects on the investigated persons (paras 67-75 of the judgment).

Finally, the fourth step of the Court’s reasoning was devoted to the type of legal remedy that shall be available to challenge the legality of EPPO’s binding procedural acts, under Article 42(1). The reference, in that provision, to “the requirements and procedures laid down by national law” led the ECJ to rule that the EPPO Regulation only provides for a minimum harmonisation of legal remedies, which shall be read in light of the principle of Member States’ procedural autonomy. Therefore, while those remedies shall ensure effective judicial review within the meaning of Articles 19 TEU and 47–48 of the Charter, a direct action against any procedural acts with binding legal effects is not required by either Article 42(1) of the EPPO Regulation or those primary law provisions. It follows that, in principle, the possibility of challenging the legality of an EPPO act as an incidental question during the trial on the merits would suffice (paras 76-81 and 90 of the judgment). The only exception could stem from the principle of equivalence: where – as it seemed to be the case of the Spanish legal order – a procedural act adopted in a purely domestic case can be challenged via a direct appeal, the same legal remedy shall be available against the equivalent EPPO act (paras 84-89 of the judgment).

A few preliminary observations

While the judgment is still quite recent, a few preliminary comments can be advanced, in particular when reading this ruling in light of the previous G.K. and Others, issued in December 2023.

Two aspects of the ruling in Contrôle juridictionnel des actes de procedure are especially relevant in this regard. First, while providing uniform criteria for the assessment of the effects of EPPO acts, the Court declared it impossible to settle in abstracto, at EU level, the question whether a certain type of EPPO measure has binding effects on the investigated person. In addition, the ECJ clarified that EU law does not impose a specific type of legal remedy, but only requires that judicial review be effective within the meaning of Article 19 TEU.

Conversely, in G.K. and Others, the Court took a much stricter stance in both respects. First, as to the effects of EPPO’s acts, the ECJ firmly stated that certain measures “constitute interferences with [fundamental rights]”, as is the case of home searches and asset freezing (G.K. and Others, paras 74-75). Secondly, on those grounds, it held that the adoption of those measures “must be subject to prior judicial review” in all Member States (G.K. and Others, operative part). Hence, one could infer that the Court was indeed willing to ensure a uniform understanding of the effects of specific categories of acts, in order to ensure that they could be challenged in all Member States. Moreover, the Court seemed to claim that, when investigation measures impinge on fundamental rights, EU law does impose a specific type of legal remedy, namely prior judicial review.

Clearly enough, the Court’s proactive and harmonising approach in G.K. and Others raised a number of questions and concerns. First, it remained unclear what other measures – beyond those at issue in the case – should be deemed to seriously interfere with fundamental rights and should thus be subject to judicial review (Herrnfeld, Eucrim 2024). Moreover, as to the nature of such review, it was noted that imposing prior judicial scrutiny may be incompatible with Member States’ procedural autonomy, which is widely preserved by the EPPO Regulation (Mosna, CMLR 2024). In this latter regard, it was questioned whether an ex post judicial review may, at least in urgent cases, still be compliant with EU law (Herrnfeld, Eucrim 2024).

Against this background, a systematic reading of the two rulings in G.K. and Others and Contrôle juridictionnel des actes de procedure may bring some clarification as to the legal framework regulating judicial review vis-à-vis the EPPO. As regards the effects of EPPO’s investigation measures in the suspect’s legal situation, the Court seems to devise two different categories of acts: on one hand, those that constitute, by their very nature, a serious interference with fundamental rights protected by the Charter and are, therefore, always “intended to produce legal effects” within the meaning of EU law; on the other hand, those that may produce such effects only in some circumstances, depending on their specific context and purpose, as well as on the procedural guarantees available under the applicable national law. In turn, the type of judicial remedy that shall be available against each measure follows from that distinction: the Court seems to impose ex ante authorisation only in respect of the most intrusive acts, whereas for other measures Member States enjoy a wider leeway, and their procedural autonomy is preserved to a larger extent.

Despite the recognition of Member States’ discretion and differences, the prescriptive value of the Court’s judgment in Contrôle juridictionnel des actes de procedure should not be underestimated. Indeed, first, the Court clearly stated that Member States cannot establish, by law and a priori, a closed list of procedural acts that can be challenged. Moreover, by interpreting Article 42(1) of the EPPO Regulation in light of the Treaties, the Charter and the principle of equivalence, the ECJ ultimately imposed the provision of a legal remedy that did not exist, in the Spanish legal order, in EPPO cases. In so doing, it ensured that national procedural autonomy does not operate to the detriment of EPPO’s accountability and effective judicial protection for individuals (Öberg, Eu Law Live 2025).

Certainly enough, the first two ECJ judgments concerning the EPPO and judicial remedies still leave many questions unanswered; still, they have also shown how important the preliminary ruling procedure is, in a normative framework where the judicial scrutiny over the acts of an EU body is mainly left to national courts. It is only by way of further references for preliminary ruling that the Court will be able to provide further clarification and keep building a system of remedies in line with EU primary law.

 

 

 

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